Tratto da "Il mistero buffo del signor burocratese"
22 settembre 2010
di Gian Antonio Stella (da il Corriere della Sera)
Come fa a essere «meridianamente epifanica l’indifferenza contenutistica»? La domanda toglie il sonno da giorni ai dipendenti del comune di Ariano Irpino che hanno avuto la fortuna di imbattersi nella lettera protocollata 15547 e firmata dal nuovo segretario generale Vincenzo Lissa. Un capolavoro assoluto. Un documento che nessun comico al mondo, volendo irridere al burocratese, potrebbe mai scrivere. Eccone, per la delizia del lettore, Alcuni estratti.
«Ho letto lo scritto emarginato in epigrafe con tutta l’attenzione che ha meritato. Nulla più. Vediamo elenticamente perché. Da essa viene in emersione una apodittica concezione del diritto immaginato come un’astrazione da investire acriticamente. Infatti è meridianamente epifanica l’indifferenza contenutistica che implica meccanicisticamente un calco a rime obbligato: la devozione al culto del formalismo idealizzato come un rifugio onirico».
«Tale rifugio svolge “una funzione redentrice”. Ma tutto ciò, come ammonisce un maestro dei nostri tempi, Natalino Irti, produce un meccanismo giuridico “che sospinge verso la nientità del diritto”. Ciò sta a significare, in termini più semplici, come una condotta attizia che è infeconda di effetti è appagante tuttavia per coloro che prefigurano la forma come l’unico stilema da assumere a paradigma della propria attività, in maniera del tutto avulsa dal contenuto e dalla sostanza. Da ciò ne deriva come da logico corollario come il formalismo solchi un canale biunivoco con il nichilismo giuridico. Infatti nichilismo e formalismo sono apparentati da un’intima fraternità. D’altra parte l’esperienza del nulla contenutistico esige il solo rigore formale».
«Dunque, è nel formalismo che si ricerca la salvazione del diritto: infatti abbandonati i contenuti, il diritto è concepito come un’artificialità meccanicistica. In altri termini non si può non rilevare come le panie della scepsi producano anche atti non solo avvinti a un vuoto formalismo, ma anche attratti nell’orbita del conflitto con se stessi (…). Da tutto ciò emerge l’immagine della casa prigione del paradosso: una casa dove le stanze non sono comunicanti e dove i corridoi non portano in nessun luogo “secondo la plastica immagine di Vengher filosofo decostruzionista”».
«D’altra parte non vi è chi non veda come la riproposizione formale di amletismi non è altro che la riproduzione di un vuoto contenutistico, che trova il proprio archetipo nel cavillo che come sosteneva Francesco de Sanctis nel suo Viaggio elettorale “altro non è se non il trionfo della mediocrità”» (…)
«Non è un caso che un magistrale maestro dei nostri tempi, Angelo Falzea, nelle sue ricerche di teorie del diritto tra formalismo e antiformalismo ha arato un diverso percorso: quello del realismo giuridico, l’unica strada aperturista di effetti nell’ottica della universalizzazione del bene comune che ha come epicentro la cura del cittadino. Dunque non può rivelarsi, e questo senza spirito di polemica, come nel caso di specie si ripercorre la tela di Penelope dove il meccanismo del telaio è a geometria sghemba essendo stato modificato il rapporto tra i fili della trama e quelli dell’ordito. Aveva ben intuito Max Weber quando sosteneva che le pubbliche amministrazioni si legittimavano in maniera autopoietica, essendo felici di formalizzare questa loro autoreferenzialità. D’altra parte se c’è l’inesistenza di contenuti è logico porre molta attenzione sulla forma, vero rifugio ottativo…».